Dumper Perlini, un tratto di storia con Pakelo

Tempo di Lettura: 7 min
Pubblicato il: 01 Agosto 2021

Il re dei Rally Africani degli Anni Novanta

La Parigi Dakar degli anni Novanta

Questa è una storia ben nota alle vecchie leve che lavorano in Pakelo. Alla fine degli anni Ottanta la Perlini, un'azienda produttrice di Dumper a meno di 10km dalla sede Pakelo, decide di mettere i suoi mezzi alla prova nel più difficile dei rally africani: la Parigi Dakar.

Thierry Sabine, un pilota francese professionista, ha l'idea di creare la Parigi Dakar dopo essersi perso nel deserto libico durante il rally Abidjan-Nizza. L'esperienza estrema lo porta a ideare un percorso che entrerà nell'immaginario collettivo di tutti come "Il Rally" per eccellenza. Dal 1970 fino al 1992 la Parigi Dakar si è svolta senza GPS, con mappe e bussole per percorrere le strade battute dai Touareg. Negli anni Ottanta il rally aveva iniziato a riscuotere grande successo mediatico. 

Perlini Dumper, fatti per vincere

La prima volta del Dumper Perlini alla Dakar è stata nel 1988 con l'equipaggio composto da Thierry de Saulieu, Jacques Houssat e Danilo Bottaro. Si trattava di un Dumper Perlini 105F detto "Red Tiger" di 12,8 tonnellate che poteva raggiungere i 150 km/h. Voci di corridoio giurano che in realtà fossero 184 km/h. Ma solo chi ha visto può confermare. All'esordio il Dumper "Red Tiger" si piazza come primo camion Parigi Dakar del 1988 e come quarto mezzo in assoluto. La parabola d'oro dei Dumper Perlini si realizza però tra 1990 e 1993, anni di vittorie incontrastate che vedono protagonista della squadra anche il figlio stesso del fondatore: Francesco Perlini. 

Danilo Bottaro, l'asso nella manica di Perlini 

Danilo Bottaro, classe 1953, nato a Locara in provincia di Verona, era l'asso nella manica di Perlini alla Parigi Dakar. Meccanico in assistenza estera per l'azienda dal 1972 al 1997, Danilo ha sempre prestato le sue abilità di meccanico ai mezzi Perlini. Se gli si chiede oggi come ricorda quegli anni tra gare e viaggi nel deserto ti risponde con la noncuranza di chi non sa di aver fatto qualcosa che agli occhi degli altri risulta a dir poco leggendario. Fino al 1992 non esistevano GPS satellitari, solo gli antenati dei primi GPS e non tutti l'avevano. Come dice Danilo "la navigazione era durissima. La prima volta nel deserto a un certo punto perdemmo l'estintore. Lo vidi dallo specchietto retrovisore rotolare nella sabbia. Dopo un'ora e più ce lo ritrovammo davanti. Capimmo che si stava girando in tondo." Ai tempi esisteva solo il road book che veniva dato ad inizio giornata. Riferimenti: pochi. Alcuni seguivano le tracce aperte da altri, ma non era sempre garanzia di successo. Non importava a che ora si finiva la speciale, l'importante era riuscire a presentarsi alla partenza del giorno dopo alle 6:30. Danilo ricorda che durante una tappa in Algeria nel 1988 erano rientrati al campo base alle 3 di notte. Le prime tappe d'altronde erano fatte apposta per fare scrematura. Si partiva in 1500 iscritti con speciali da 1000km. Era una selezione naturale. Ad aspettarli al bivacco c'era niente di meno ché Roberto Perlini, il fondatore stesso dell'azienda, giunto in Africa con l'elicottero per dargli sostegno morale che gli disse: "Ve la siete presi comoda in questa tappa ragazzi." Sulle prime Danilo non riconobbe il suo capo e pensò che fosse solo un seccatore. Erano tutti stravolti dal sonno e dalla fatica. Danilo aveva assunto il ruolo di pilota per dare tregua al francese Thierry de Saulieu, primo pilota. Alle 3 di notte, arrivati al campo Danilo fece le manutenzioni del caso controllando tutti i livelli e la bulloneria, dormì mezzora e ripartirono alle 6:30 in punto. La più grande soddisfazione ottenuta? Che il suo Perlini è sempre arrivato a destinazione. Rischiavano fino all'ultimo, come durante la Parigi Dakar del 1991. Era la penultima tappa e ruppero la sospensione. Le sospensioni del Dumper Perlini avevano gonfiaggio indipendente. Danilo fece sgonfiare completamente una delle due sospensioni pompando al massimo l'altra. Non fu semplice trovare un bilanciamento che permettesse a quella bestia del Red Tiger di concludere la gara. Infine, ce la fecero. 

Con un'ora e mezza di svantaggio e perdendo la leadership della gara. Il Tatra li aveva driblati e partiva favorito per vincere la Parigi Dakar di quell'anno. L'indomani l'ultima tappa era costituita da quella manciata di chilometri sulla spiaggia del Lago Rosa. "Quasi una speciale simbolica, eppure quanti ne ho visti piantarsi lì. Successe anche al Tatra. Lo superammo, mentre era fermo sulla spiaggia. Ma avevano un'ora e mezzo di vantaggio su di noi quindi arrivati al traguardo tenemmo gli occhi sull'orizzonte, aspettando di vederlo arrivare. Inutile dire che al traguardo il Tatra non arrivò mai. Avevano rotto il motore per colpa di un pistone andato. Vincemmo così anche quell'anno." - ricorda Danilo sorridendo. Che poi, come dice lui: "Vincere è difficile, ma rivincere lo è molto di più" e oltre alla preparazione ci vuole anche un po' di fortuna. Ripercorrendo il viale dei ricordi, il meccanico veronese ricorda la competitività, ma anche la solidarietà tra equipaggi. Partecipare alla Dakar al tempo costava circa 800milioni di lire. Nel 1990 Perlini noleggiò un mezzo all'allora noto pilota di offshore Giorgio Villa. Danilo ricorda come i pezzi di ricambio fossero distribuiti tra i vari Dumper Perlini con la promessa di assistenza reciproca in caso di bisogno. L'equipaggio di Danilo aveva rotto il braccio dello sterzo e serviva la saldatrice, che però era sul mezzo di Villa. Il pilota decise di non fermarsi per non perdere vantaggio acquisito lasciando il Perlini di Danilo in panne. Furono aiutati da un'altra squadra per una saldatura di fortuna fino ad arrivare ad un cantiere per rendere più solido il lavoro. Villa quell'anno vinse, ma la mancanza di gioco di squadra aveva reso la sua vittoria meno dolce. Danilo ricorda che nonostante la competitività nella maggior parte dei casi ci si aiutava sempre. Come quando i camion rompevano le dune di 300-400 metri zigzagando per rompere la crosta per quelli dietro di loro. Rincorsa da 1,5 chilometri e gomme sgonfie a 0,5 atmosfere. Come con l'esploratore nostrano Ambrogio Fogar, il quale chiamava Danilo "La Spia" nella Parigi Mosca Pechino del 1992 perché passava gli passava le informazioni che trapelavano dall'organizzazione sulle tappe successive. Quello fu l'anno dell'incidente di Fogar che lo paralizzò. Il rischio c'era sempre, lo sapevano tutti, ma non se ne parlava mai. La morte era un tabù. I rally di quel genere non permettono tanto di fermarsi a riflettere. Era pericoloso, non solo per gli incidenti. Danilo ricorda quando nel 1991 un gruppo di ribelli armati spararono al camion assistenza della Citroen uccidendo il guidatore Charles Cabannes. "Erano venti giorni fuori dal mondo. Ritmi serrati. La possibilità di morire c'era ma non ci pensavi. E quando accadeva si stava male, ma il giorno dopo la gara era ancora lì e ti prendeva i tutti pensieri." - afferma Danilo. Il rischio più grosso il suo team lo corse durante uno dei primi rally africani affrontati dai Dumper Perlini: il Rally dei Faraoni nell'ottobre del 1988. Davanti a loro una piatta distesa finché non videro in lontananza alcuni mezzi fermi. Inchiodarono e si resero conto di essere arrivati al bordo di una cava, salvi per pochi metri.

Nascita del 80w140 Pakelo, l'Olio Trasmissione a prova di Dakar

Il "mal d'Africa" di Pakelo nasce proprio qui alla mitica Parigi Dakar degli anni Novanta, quando abbiamo fatto squadra con i Dumper Perlini per testare il nostro mitico olio motore - allora monogrado - il Pakelo Kentron Over SAE 40, rimasto a listino per molti anni. Danilo Bottaro, meccanico a bordo ci conferma che a differenza delle altre case costruttrici più facoltose, la Perlini non cambiava l'olio motore ogni sera, ma a metà gara circa. Le temperature erano il nemico principale, ma non ruppero mai il motore.

Tuttavia, è nell'olio trasmissione che Pakelo fa un vero e proprio salto generazionale in termini di protezione. In occasione della Dakar è stato studiato il primo olio differenziali e riduttori Pakelo nella viscosità 80w140, un piccolo grande traguardo per il tempo, visto che in pochi lo producevano in Europa. Alla Dakar le parti meccaniche della trasmissione (ponte anteriore, ponte posteriore, cambio e riduttori finali) soffrivano temperature incandescenti. Immaginiamo il calore generato da un dumper lanciato nel deserto a 150 km/h con 30-35°C atmosferici. Le parti metalliche superavano i 120°C. A queste temperature l'olio lubrificante standard si ossida, o come si dice in gergo, carbonizza perdendo ogni capacità di lubrificare. L'olio trasmissione sviluppato da Pakelo consentiva una scorrevolezza da -60°C a circa 180-200°C garantendo la protezione dei componenti del Dumper Perlini.

Ancora oggi l'olio trasmissione Pakelo trae beneficio dall'esperienza maturata al tempo della Parigi Dakar degli anni Novanta. Per scoprire la linea di oli trasmissione meccanica e automatica attuali per la trazione pesante clicca qui.

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